Fra gli Anni ’70 e ’80 pochi in Italia e all’estero avevano interesse ad aprire un duro contenzioso sulla parte residua, più controversa e complicata, del patrimonio artistico italiano disperso per cause belliche. La situazione politica internazionale, ancora attraversata dal Muro di Berlino e condizionata dalla logica dei blocchi, rendeva inopportuna, se non impossibile, l’apertura di un negoziato a tutto campo che era facile prevedere minuzioso e contrastato. In sostanza – avrà pensato qualcuno – dal momento che l’Italia aveva già ottenuto indietro, in applicazione del trattato di pace, la parte più ragguardevole del suo patrimonio culturale illecitamente trasferito, non era il caso di turbare gli equilibri e le convenienze internazionali a così tanti anni dalla fine della guerra, con atti di zelo eccessivo per recuperare la quota residua del patrimonio stesso.
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